Obiettivo Comunicazione, intervista a Rudy Bandiera
Docente, giornalista, blogger, racconta storie in digitale, comunica attraverso lo “storytelling” su ogni cosa abbia un valore da raccontare, indicato da Wired fra i 50 italiani da seguire su Twitter. Ha tenuto lezioni e seminari per Google, passando dallo IED fino alla Camera dei Deputati. Socio fondatore di NetPropaganda, agenzia che crea identità nel mondo digitale per aziende e privati. Due libri all’attivo: “Rischi e opportunità del Web 3.0”, che all’uscita si è subito collocato ai primi posti di vendite su Amazon, e “Le 42 Leggi universali del digital carisma” nel quale spiega la fusione tra la vita digitale e reale come forma di comunicazione del futuro. Il suo blog RudyBandiera.com è considerato tra i 150 più influenti in Italia.
Il tuo mestiere, che un tempo poteva essere descritto come “docente” oggi viene visto come “influencer”… quanto e come sono cambiate le cose negli ultimi anni…
C’è una enorme differenza a tutt’oggi tra docente ed influencer. Un influencer è una persona “influente”, ma che non necessariamente è in grado di insegnare. Quello che un tempo si poteva chiamare docente si chiama docente anche oggi.
Quanto la comunicazione deve provocare un’emozione?
Sempre! Se la comunicazione non genera un’emozione non si può chiamare comunicazione ma è cronaca dei fatti, ma i fatti da soli non bastano, devono essere correlati, contestualizzati, raccontati e provocare un’emozione di qualche tipo.
In un quadro di forte evoluzione dell’industria (passami il termine) della comunicazione, l’Italia, da sempre conosciuta per essere fonte di creatività e comunicazione, ha ancora ampi margini di miglioramento e di crescita… cosa dobbiamo fare per migliorare l’utilizzo del mezzo tecnologico nel comunicare la propria realtà?
Le aziende devono capire sostanzialmente due cose: la prima è che il “media internet”, dai social passando per qualsiasi altra cosa che avvenga su internet, non è un media tradizionale, non segue le stesse regole, quindi la pubblicità tradizionale non funziona più. Non possiamo interpretare il web come un luogo dove appendere i nostri servizi, non è una bacheca, ma è un luogo dove dobbiamo generare emozioni attraverso la comunicazione, fare community, creare fiducia, e queste cose ci portano poi, se tutto va bene, alla vendita. Seconda cosa, tutto questo ha un lungo raggio di azione temporale; non possiamo pensare di aprire la nostra pagina Facebook e cominciare a vendere.
Gli utenti sono sempre più esigenti e provenienti anche da culture diverse, ricercano un’esperienza capace di integrare ed arricchire le proprie conoscenze, non basta più solo “raccontare” un prodotto o un servizio per farlo conoscere al pubblico, al cliente, al follower…
Come dici nella domanda, non basta più raccontare, ma i clienti vogliono esperienze. Ogni prodotto che noi compriamo è in qualche modo esperienziale, più o meno, ed è questo che dobbiamo riuscire a far passare, dobbiamo donare delle esperienze ai nostri clienti, non possiamo più permetterci di raccontare e basta. La comunicazione può e deve svolgere un ruolo centrale nell’impresa, è attraverso queste scelte che si comunica al cliente l’identità dell’azienda, le caratteristiche dell’offerta, l’esperienza che vivranno attraverso la scelta dei nostri prodotti o servizi. Oggi in Italia come siamo messi? È un mondo che sta maturando lentamente, ma siamo messi meglio di qualche anno fa… questo senza dubbio!
La comunicazione è il modo nel quale trasmettiamo all’esterno quello che pensiamo di noi, quello che vogliamo proporre, l’immagine che abbiamo di noi… è qui che la maggior parte delle volte si sbaglia e non si riesce a trasferire in maniera corretta ciò che siamo (o che pensiamo di essere…). C’è un modo corretto ed un modo sbagliato?
Più che un modo corretto ed uno sbagliato c’è una metodologia. La nostra comunicazione deve sempre contenere un messaggio, che io chiamo “scopo”. Dobbiamo individuare cosa vogliamo rappresentare o cosa il nostro prodotto, servizio, o azienda rappresenti per gli altri nel contesto in cui viviamo, che cosa vogliamo che gli altri sentono quando sentano il nostro nome o vedono il nostro logo? Questo è il nostro messaggio. All’interno di tutta la comunicazione che facciamo ci deve essere questo messaggio. Se facciamo una comunicazione fine a se stessa, vanitosa o addirittura che verte solo a prendere like, è una comunicazione che non funziona.
C’è una sorta di “codice” da seguire nella comunicazione? Oppure ognuno deve agire nel modo che ritiene più opportuno? Non bisogna manipolare, non bisogna “fregare” gli altri, bisogna sempre essere il più trasparenti possibile, come nella vita reale, le regole sono le stesse. È colui che riceve il messaggio a dare un significato alla comunicazione. Come si fa a realizzare una comunicazione che venga percepita come noi desideriamo?
Questo è un tema terribilmente complesso perché noi siamo responsabili di quello che diciamo, ma non possiamo essere completamente responsabili di quello che gli altri capiscono. Esistono dei problemi di cognizione in base ai quali tu interpreti qualcosa che vedi, che leggi o che senti, in riferimento a quello che pensi già in precedenza, e quindi, nella comunicazione, dobbiamo cercare di essere sempre più chiari possibile, cercare di essere il meno evocativi possibile, più tecnici, pur sapendo che dobbiamo generare empatia. Allo stesso tempo sappiamo che una percentuale di persone non sarà mai o d’accordo con noi o addirittura non capirà quello che vogliamo veramente dire.
I Social: quali sono quelli giusti sui quali bisogna essere? Meglio essere presenti su tutti oppure sceglierne uno e seguirlo bene?
A mio avviso bisogna presidiarli tutti ma fare molta attenzione ad alcuni. Per esempio, un anno fa o due anni fa Linkedin era un mortorio totale, ad oggi è il social che dà maggiori soddisfazioni in assoluto dal punto di vista del business. Instagram è il social del momento ma non va bene per tutto o per tutti, va bene solo nel caso in cu si abbia un target giovane o un’attività molto visual da promuovere.
Il caso Taffo funeral services… cosa ne pensi?
Discorso molto complicato. Taffo sta facendo una buonissima attività di comunicazione, che però, e questa è una supposizione estremamente personale, non raggiunge nessuno scopo. Qual è lo scopo di un’attività di comunicazione? È probabilmente vendere un prodotto, vendere un servizio o comunque aumentare il fatturato. Chi è che sceglie Taffo nel momento in cui gli muore un caro perché ha visto le cose ridicole che fa su Facebook? Io presuppongo nessuno. Taffo è un esempio di comunicazione fine a se stessa, ego riferita, non serve a vendere di più, serve a far parlare di sé, fuori contesto rispetto a quello che si vende.
Un esempio di comunicazione di un’azienda o un prodotto che secondo te funziona?
Secondo me Iliad ha fatto un buon lavoro perché ha usato un po’ meno i canali tradizionali, probabilmente perché molto più costosi, ed ha investito tanto su influencer di settore. Per esempio il primo a parlare di Iliad è stato Andrea Galeazzi che ha un grandissimo seguito ed ha sdoganato questo nuovo gestore attraverso la bocca, gli occhi e le parole di una persona che si conosce. Ad oggi fanno tante attività sui social, hanno questo claim della rivoluzione che è sempre vivo, stanno attenti alle persone che scrivono di loro o che parlano con loro, quindi vedo che stanno facendo un buon lavoro.
Barbara Molinario