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Il rapporto tra Pier Paolo Pasolini e Roma fu viscerale. La città ebbe sempre un ruolo da protagonista nei suoi film e nei suoi scritti. La osservava come uno spettatore attento, ne notava ogni piccolo cambiamento e i significati più nascosti dietro ogni elemento.

Questo rapporto è stato al centro del quarto incontro letterario con Angela Iantosca sulle opere di Pasolini, nel quale ha ospitato Giommaria Monti, giornalista e autore Rai e autore de La città dei sensi, edito Diadema, nel quale propone proprio un viaggio attraverso la Roma di Pasolini.

Nel corso dell’incontro è stato analizzato anche il momento in cui Pasolini percepisce un senso di distruzione in quella che era la città che aveva scelto e amato per anni. Quando sente di non poter più dialogare più con la storia di Roma, per Pasolini quella diventa come la città dei morti.

Un luogo che non lo rappresenta più, in cui non ritrova più i valori che l’avevano sempre resa così autentica e vera.

Pasolini era solito osservare Roma dai borghi più malfamati. Un po’ quello che ha fatto Paolo Sorrentino con il suo film La grande bellezza, ma il suo punto di vista è quello dei luoghi borghesi. Punti di vista opposti, ma ciò che viene raccontato è lo stesso, al punto che potremmo mettere i due registi sullo stesso filo conduttore, che si evolve nel tempo.

In entrambi i racconti, Roma è una città nella quale, nonostante tutto, ci si può sentire molto soli. Una solitudine che, però, Pasolini non combatteva, anzi! Egli la ricercava, per lui era una sfida.

Tra le poesie che meglio raccontano questo aspetto di Pasolini sicuramente troviamo Il pianto della scavatrice e Le ceneri di Gramsci.

Di quella Roma pasoliniana degli ultimi anni Monti ha dato una descrizione molto bella nel suo libro, una di quelle che meglio ne esprimono l’anima: “Roma è la palude dove si perdono le tracce di ogni senso. È una città così bella che le perdoni tutto”.